Per un tempo lungo, nello svolgersi della dinamica politico-istituzionale del nostro Paese, l’articolo 9 della Costituzione italiana è stato pressoché silente rispetto ai contenuti che esso esprimeva. Infatti, nonostante l’indubbia forza che emergeva fin dalla originaria versione in vigore dal 1948, rappresentando la bella e ricca espressione di un insieme di principi fortemente innovativi, questo articolo ha preso davvero vita solo all’inizio degli anni ’70, quando appunto quei principi, valori, idee e concetti, hanno iniziato a trovare progressivamente lo spazio che meritavano.
Così, da sempre in bilico tra una lettura fortemente programmatica, cioè senza un vero e proprio valore capace di vincolare tanto chi fa le norme quanto chi è chiamato ad utilizzarle dentro un conflitto tra parti, ed una lettura assai riduttiva, quasi come se si avesse di fronte un mero barocchismo costituzionale, fatto soprattutto di forme estetiche e poco di più, questo articolo inevitabilmente ha vissuto alterne fortune; penando non poco ad emergere nel panorama dell’interpretazione e del quotidiano uso della nostra Costituzione.
Tuttavia, proprio la difficoltà nell’interpretare questo articolo, lo ha reso più solido, essendosi mostrato infatti davvero coriaceo rispetto a semplicismi e superficialismi alla moda nel guardare, generazione dopo generazione, al testo costituzionale.
Il tempo allora ha reso questa resilienza un punto di forza; spingendo ogni lettura dell’articolo 9 verso quel bisogno necessario di una prospettiva interpretativa che fosse di tipo unitario: quasi che “cultura e ricerca scientifica e tecnica” da un lato, e, “paesaggio e patrimonio storico e artistico della Nazione” dall’altro, fossero inevitabilmente e indubitabilmente, un tutt’uno inscindibile. E d’altronde – noi Italiani, almeno noi italiani – lo sappiamo bene che è proprio così.
Non a caso, da quando è stata riconosciuta questa sua intrinseca unitarietà interpretativa, l’uso di questo articolo è divenuto assai frequente nel sistema politico-istituzionale italiano, presentando tali e tante virtù che hanno arricchito la nostra vita collettiva, rendendo i beni costituzionali protetti da questo articolo un tesoro (ed una miniera) di cui oggi difficilmente potremmo privarci.
Oggi che a questa realtà allora si aggiunge un intero altro comma nuovo di zecca, essendo stato approvato come revisione della Costituzione dal Parlamento nel 2022 (modificandolo insieme con l’art. 41 Cost.), dobbiamo cogliere ancora una volta il senso complessivo ed unitario di questo articolo, trovando gli elementi chiave che lo tengono tutto assieme, pur nella crescente ricchezza di temi che lo compongono.
Il comma nuovo infatti introduce, innanzitutto, tre elementi strategici: l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi. Beni importantissimi che finalmente entrano nel nostro testo costituzionale a pieno diritto nella Parte prima della Costituzione, dentro un’ottica che guarda a questi temi con l’accezione più estesa: quello dello sviluppo sostenibile, ossia la medesima visione che da sempre peraltro qualifica e caratterizza una società come A2A, che fa del processo di transizione sostenibile, come ad esempio riguardo alla produzione di energia rinnovabile dentro l’economia circolare, un suo specifico punto di forza.
Questi nuovi beni costituzionali rappresentano con tutta chiarezza quindi quel concetto di sviluppo responsabile innanzitutto verso le nuove generazioni, che può essere davvero ben sintetizzato con quella voglia che esista, a maggior ragione in questo tempo tanto veloce quanto fragile, un diritto al futuro per tutti e per ciascuno. Innanzitutto – è bene sottolinearlo - per le giovani generazioni: soggetti che rappresentano il punto focale dell’impegno costituzionale che questo rinnovato articolo qualifica, essendo previsto non a caso dal nuovo comma che la tutela dell’«ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi» siano posti in essere «anche nell’interesse delle future generazioni».
Ecco dunque emergere la chiave interpretativa per ricomporre, ancora una volta in modo unitario, i diversi valori, principi, questioni che questa innovazione costituzionale fa emergere, ossia «l’interesse delle future generazioni».
Questa infatti è la prospettiva che ci consente di tenere assieme la società di oggi e quella che verrà. E di farlo senza indifferenza, superficialità ed estraneità verso le prossime generazioni, che sono evidentemente per definizione soggetti non ancora esistenti, ma anche, ed al tempo stesso, senza togliere a noi quello che è e rappresenta l’essenza che dà fiducia e serenità al nostro quotidiano vivere.
Così, tanto le bellezze naturali non sono più semplici espressioni di paesaggio, ma assumono una dimensione più ampia, sintesi dei valori storico-culturali e morfologico-naturali del territorio italiano, o, del pari, i beni culturali non sono meri manufatti, ma mostrano lo stretto legame storico che vi è tra quelle opere e la cultura che incorporano, quanto oggi questa vera e propria “Costituzione culturale” che è il nuovo articolo 9 rafforza ulteriormente l’idea di un Paese – il nostro – frutto di un combinato unico e magnifico, potente e ricco, di tanti elementi: racchiusi tutti dentro una logica di sviluppo sostenibile e di responsabilità intergenerazionale.
L’allargamento dei confini che questo nuovo comma evidenzia, impone allora uno sguardo nuovo anche a chi guarda e si impegna quotidianamente, come cittadino o come azienda in questa prospettiva poco importa, per un rilancio sostenibile dell’Italia.
Sempre di più, infatti, di fronte al radicale mutamento dell’ordine dei problemi (basti pensare allo sconvolgimento climatico, alla dimensione umana prima che economica della transizione energetica o ai rischi connessi, anche sul fronte idrico, rispetto alle dinamiche demografiche) il diritto è messo di fronte al dovere di pensare al futuro: di renderlo possibile, evitando di far sì che ogni generazione si comporti come se fosse l’ultima. E dunque non scaricando sul futuro, e su chi sarà chiamato a viverlo, gli effetti irreversibilmente negativi delle scelte attuali.
Tutelare le “generazioni future” allora non vuol dire quindi parlare di soggetti che non esistono. Al contrario: l’obiettivo di questa innovazione costituzionale è proprio quello di ridurre al minimo quelle “minacce” intergenerazionali di cui ogni tempo, in fondo, può essere pericolosamente portatore.
E di fare ciò migliorando, al tempo stesso, la propria vita quotidiana.
E’ necessario allora sempre più pensare al futuro, cioè agli effetti nel tempo dei propri comportamenti, ben consapevoli che questo non è altro che un modo diverso per continuare ad essere responsabilmente liberi, vivendo felicemente in mezzo agli altri.
E’ questa dunque la sfida di uno sviluppo sostenibile che faccia della responsabilità intergenerazionale la frontiera più avanzata del suo agire. E che renda tutto ciò un impegno manifesto per tutti, a partire da chi, con la sua iniziativa economica - consapevole, attenta, responsabile - porta quotidianamente nel Paese, tramite i suoi servizi, quei beni che fanno e rendono migliore l’esperienza di vita di ciascuno.
In fondo, dentro questa visione strategica, vi è quello che l’intera Costituzione e questa innovazione costituzionale ancor di più richiedono, ossia l’effettiva realizzabilità di una tutela dei diritti di tutti gli individui, nell’interesse anche, appunto, delle future generazioni.
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